Agobiopsia percutanea: quando e come eseguirla
L’agobiopsia percutanea è un valido alleato per fare diagnosi quando gli esami non invasivi non sono sufficienti. Ce lo spiega il Prof. Ernesto Mazza, esperto in Radiologia a Firenze
Che cos'è l’agobiopsia percutanea?
L’agobiopsia percutanea è una tecnica diagnostica mininvasiva a cui si ricorre quando non è possibile fare diagnosi con tecniche non invasive. Eseguita generalmente in anestesia locale e sotto guida ecografica o TAC, prevede il prelievo di una piccola parte di tessuto per poterlo analizzare al microscopio e risalire quindi alla causa della malattia. Con l’agobiopsia percutanea si possono esaminare sia organi superficiali (tiroide, ghiandole salivari, linfonodi del collo, prostata, muscoli) che profondi (fegato, pancreas, reni, surreni, peritoneo, polmone, mediastino, linfonodi addominali, ovaie, prostata).
Come ogni procedura mininvasiva, presenta dei rischi ma in percentuale estremamente ridotta. Inoltre, nel caso in cui è necessario fare la biopsia di organi interni, è consigliabile valutare singolarmente ogni caso e prendere le precauzioni necessarie per evitare eventuali complicanze. Le agobiopsie vengono eseguite di solito ambulatorialmente salvo alcuni casi in cui può essere necessario trattenere il paziente alcune ore dopo l’agobiopsia per evitare l’insorgenza di complicanze correlate alla mobilizzazione immediata.