Sindrome faccettale: dall’anatomia alle opzioni di trattamento
La sindrome faccettale, o sindrome delle faccette, è una condizione dolorosa derivante da una disfunzione meccanica delle articolazioni che connettono, ai vari livelli, due vertebre adiacenti posteriormente al canale vertebrale. In questo articolo esploreremo con il Dott. Pier Francesco Eugeni l’anatomia delle faccette articolari, i sintomi della sindrome faccettale e i possibili trattamenti
Cosa sono le faccette articolari?
Con il termine di faccette articolari o articolazioni interapofisarie si intendono le articolazioni che, posteriormente al canale vertebrale, uniscono le vertebre a ciascun livello. Assieme ai dischi intervertebrali, le articolazioni interapofisarie permettono a due vertebre contigue la motilità reciproca, contribuendo così alla motilità globale del rachide. I dolori derivanti dal malfunzionamento di questi elementi articolari rientrano nel più ampio capitolo della lombalgia, ovvero del mal di schiena interessante la porzione più bassa della colonna (il low back pain della letteratura medica in lingua inglese), e richiedono una diagnosi differenziale precisa soprattutto quando, dopo un trattamento fisioterapico, la situazione clinica richieda il passaggio a considerazioni di tipo chirurgico.
Quali sono i sintomi della Sindrome faccettale?
La cosiddetta sindrome faccette si manifesta principalmente attraverso un dolore assiale (più o meno sulla linea mediana della schiena) con le caratteristiche del dolore meccanico, ovvero di un dolore che si manifesta o che aumenta di intensità quando il soggetto passa da una situazione di immobilità a una situazione di movimento. Caratteristicamente il dolore meccanico è maggiore al momento di alzarsi dal letto al mattino oppure alzandosi dopo essere stati seduti a lungo e migliora con il riscaldamento e con una moderata attività fisica (per esempio camminare un po’ o sgranchire il bacino ancheggiando). Altra condizione nella quale il dolore meccanico faccettale caratteristicamente si presenta è il prolungato ortostatismo. Spesso (ma non costantemente) il paziente con un dolore meccanico è in grado di trovare la sua “posizione antalgica”, ovvero una posizione mantenendo la quale riesce a controllare il disturbo. Il dolore a partenza dalle articolazioni interapofisarie vertebrali può caratterizzare anche malattie reumatiche e, in quel caso, ha una genesi “infiammatoria”.
Quali sono le cause?
C'è condivisione nel ritenere che la prima causa del dolore meccanico vertebrale posteriore (lombalgia meccanica posteriore e sindrome faccettale sono quasi sinonimi) sia da riferire a una insufficienza discale ovvero ad una degenerazione del disco intervertebrale con perdita anche modesta della sua altezza e conseguente sovraccarico meccanico e/o incongruenza articolare delle articolazioni interapofisarie. La postura scorretta e gli impegni funzionali meccanici della colonna vertebrale connessi all'attività sportiva oppure professionale come pure il sovrappeso possono essere considerati concausa del manifestarsi di questo disturbo; tuttavia il fattore che più sembra essere importante, da un punto di vista statistico, è la predisposizione individuale alla degenerazione più o meno precoce del disco intervertebrale durante l'esistenza di un determinato soggetto. Tra i fattori estrinseci che statisticamente appaiono essere coinvolti significativamente nella maggiore incidenza di degenerazione discale vi è senz'altro il fumo di sigaretta.
Come si diagnostica?
Come nella maggior parte della patologia dolorosa vertebrale, la descrizione che il paziente fa del suo dolore e l'accurato esame fisico del malato eseguito durante la visita specialistica sono i cardini della diagnosi, essendo il dato morfologico (ovvero quanto emerge dall'effettuazione di un esame di immagine) del tutto irrilevante in questi casi per determinare la causa del dolore. Nei pazienti affetti da patologia dolorosa del rachide, tuttavia, la risonanza magnetica nucleare rappresenta sicuramente un esame obbligatorio per l'esclusione di cause traumatiche, oncologiche, infiammatorie, ecc. Nel caso in cui il quadro clinico, l'impatto sull'esistenza da parte del disturbo doloroso, la lunghezza della storia clinica, l’inefficacia del trattamento fisioterapico, in definitiva disturbo che lo stato doloroso rappresenta per il paziente, giustifichino la considerazione chirurgica, potrà essere necessario confermare la natura articolare del dolore con dei test di blocco anestetico selettivo articolare.
Quali sono le opzioni di trattamento?
In prima istanza (e dopo aver escluso le patologie alle quali prima facevo riferimento oltre ad una eventuale instabilità vertebrale) le strategie terapeutiche da perseguire per il trattamento dei dolori meccanici della colonna vertebrale e del bacino sono sicuramente quelle fisiche (rieducazione posturale, osteopatia, tecniche fisioterapiche locali manuali o strumentali) associate all'assunzione di farmaci analgesici e miorilassanti prescritti dal medico. Il riposo funzionale non assoluto e la termoterapia esogena (ovvero la borsa dell'acqua calda posizionata sul sito dolorante) rivestono sicuramente un ruolo importante. La terapia infiltrativa con farmaci antinfiammatori, tanto più se steroidei, è da effettuare esclusivamente in ambito specialistico evitando di esagerare nelle dosi in considerazione degli effetti sistemici che i cortisonici possono avere. L'utilizzo delle ortesi appare il più delle volte ingiustificato.
In caso di refrattarietà del quadro al trattamento fisico e alla terapia medica, se la storia clinica è sufficientemente lunga, è giustificata la considerazione chirurgica di quel determinato paziente. Tra le procedure proposte per il trattamento di questo genere di patologia può essere eventualmente considerata la neuromodulazione a radiofrequenza pulsata che costituisce una sorta di anestesia locale selettiva protratta. Personalmente ritengo che i trattamenti neuroablativi con radiofrequenza continua abbiano invece applicazione molto limitata.
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE IL SEGUENTE ARTICOLO: La sacroileopatia: quando la sciatalgia non è dovuta all’ernia del disco rilevata alla risonanza magnetica
Gli interventi di fusione vertebrale (artrodesi) sono procedure utilizzate da molto tempo per il trattamento nella patologia dolorosa nella colonna. Da anni sono state introdotte tecniche di artrodesi mininvasiva della colonna vertebrale che permettono la fusione di due o più vertebre minimizzando l’accesso e il conseguente “danno” sui tessuti circostanti, rendendo più breve e molto più confortevole il post-operatorio. Inoltre, al pari di quello che si effettua per il trattamento dell'artrosi delle grandi articolazioni degli arti (la protesizzazione) da alcuni anni è possibile effettuare interventi di sostituzione totale di disco intervertebrale (TDR o protesi discale) per il tratto lombare come per quello cervicale. Questo permette di mantenere la articolarità di un determinato livello vertebrale che si intende curare chirurgicamente.
Altre opzioni terapeutiche chirurgiche sono rappresentate dall’impianto di “sostegni discali” ad appoggio su vari elementi vertebrali.
Com’è ovvio, la scelta tra le varie tecniche descritte per il trattamento di queste affezioni dolorose è riservata al chirurgo specialista e viene effettuata in modo tale che il trattamento di un determinato paziente sia “ritagliato” sulla sua situazione clinica generale e specifica.
Quali sono le prospettive dopo il trattamento?
La lombalgia meccanica posteriore da sindrome faccettale il più delle volte ha una prognosi favorevole e non richiede un trattamento chirurgico. Quando quest'ultimo dovesse essere giustificato o necessario, le moderne tecniche chirurgiche diminuiscono, come abbiamo esposto, l'impatto della procedura sul paziente, permettendo generalmente una rapida ripresa funzionale.